"Ogni cosa era piu' sua che di ogni altro perchè la terra, l'aria, l'acqua non hanno padroni ma sono di tutti gli uomini, o meglio di chi sa farsi terra, aria, acqua e sentirsi parte di tutto il creato." (Mario Rigoni Stern)

lunedì 6 dicembre 2021

GRAVE DI CIANO: UNA DOMANDA E DUE IMPOSTAZIONI

 


A Mosnigo di Moriago il 2 dicembre un’affollata assemblea pubblica si è svolta in contemporanea con una trasmissione a Rete Veneta sul medesimo tema: la potenziale pericolosità di una piena della Piave e le possibili risposte a questo problema.

Da un lato il potere della Regione Veneto (l’assessore Bottacin e il prof. D’Alpaos ospiti di Bacialli, senza contraddittorio, con il sindaco di Ponte di Piave) dall’altra un nutrito gruppo di amministratori del Medio Piave (dalla sindaca di Crocetta al Vicesindaco di Vidor).

 

Il tema “PIAVE” è un problema complesso di cui si discute da 50 anni; è divenuto urgente negli ultimi due anni da quando il progetto delle casse di espansione nelle grave di Ciano del Montello è LA soluzione e non una delle potenziali soluzioni.

Ci sono due modi di affrontare un simile problema: il “metodo ingegneristico” ed il “metodo ambientale” e nei passaggi seguenti vorrei mostrare le differenze tra le due impostazioni.

 

1.       Il metodo “ingegneristico”

Il prof. D’Alpaos è un emerito professore di idraulica dell’Università di Padova e quindi rappresenta un’autorità scientifica nella sua materia: il tema non è contestare la sua indubbia competenza, quanto valutare se l’impostazione globale della sua proposta tecnica e tecnologica sia adeguata alla risoluzione della questione posta.

Gli studi e la professione di D’Alpaos prevedono una risposta tecnica ad un fenomeno naturale: l’ingegnere costruisce dighe, argini, devia fiumi… Nella sostanza D’Alpaos e la Piave sono antagonisti (nemici): uno deve prevalere sull’altro, uno deve domare l’altro e fino ad oggi il fiume ha resistito alle proposte di opere dell’Università di Padova (vedi diga di Falzè a Sernaglia).

D’Alpaos vede i pericoli dati dalla vegetazione in alveo per altre opere umane (i ponti, le fabbriche) e non f mai alcuna considerazione ecosistemica. Non competono a lui, che è un puro ingegnere idraulico.

In questo epigono della cultura scientifica novecentesca è racchiusa tutta la filosofia occidentale del secolo breve, per la quale i problemi complessi vengono suddivisi in problemi più semplici e risolti grazie all’intervento dell’opera dell’Uomo che prevale sulla Natura.

Per D’Alpaos, ritengo, la Piave va gestita, “domata”, incanalata dove l’Uomo vuole al servizio totale del bacino.

 

2.       Le necessità della politica

Si aggiunga a questo che la politica attuale deve dimostrare di “fare qualcosa”. Non importa “cosa”.

E’ necessario aver programmato un qualsiasi intervento perché al primo evento disastroso (che certamente ci sarà), la politica dirà che …. “il progetto era pronto, ma non si è potuto attuare per….”.

Si discuterà di colpe, ritardi…. si faranno polemiche “sugli ambientalisti che devono andare in vacanza e lasciare il fiume ai professori universitari….”.

La politica piccola (della Regione Veneto) vuole solo salvarsi il culo di fronte ad una catastrofe che ha solo contribuito ad aggravare con inerzia e favori alle lobbies, in primis dei cavatori.

 

3.       Il metodo “ambientale”

Quello che stanno facendo i comitati del medio e basso Piave e le associazioni, con le limitate risorse disponibili, è la vera transizione ecologica, perché propongono un vero e radicale cambio di logica.

La Piave, che rappresenta l’acqua e quindi la vita, non è “nemico” del territorio, ma ne è parte integrante; è il nerbo di queste terre e non solo per il sangue che si è diluito lungo il costo in episodi storici tragici, ma anche per tutto quello che il fiume dà e continua a dare, se verrà rispettato.

La Piave merita e deve essere rispettato ed assecondato e quindi più che ascoltare esclusivamente il parere di un emerito professore di idraulica, è necessario ascoltare chi osserva il fiume e che, con altre competenze, riesce a dare una visione “altra” della questione. Ovviamente non parlo di fare una mega commissione, ma di aprire una vera e paritaria discussione scientifica, dove non sia predeterminata, come al solito, la “soluzione che la politica chiede”.

La filosofia orientale ci insegna che “il meglio non è vincere 100 battaglie, ma sottomettere il nemico senza combattere” e noi con la Piave ne abbiamo la possibilità perché il fiume nasce meandriforme in funzione della conformazione del territorio: si allarga dove può ed è stretto dove l’orografia lo costringe.

Passiamo da un alveo di centinaia di metri ad un alveo di chilometri, formatosi in secoli ed ora arrivano i Sapiens Sapiens, tipo l’assessore Bottacin, a fare meglio?

 

4.       Le necessità dei comitati e delle associazioni

I problemi della Piave esistono e non sono solo il problema della sicurezza idraulica, come vogliono far credere coloro che enfatizzano, pro domo loro, tale questione.

Invece di realizzare, manu militari una bacino di espansione del fiume dove già si espande naturalmente creando un ecosistema stuendo (le grave di Ciano), vogliamo analizzare risposte diffuse senza fare una misera guerra tra Crocetta e San Polo di Piave (prima i Veneti del sud)?

Vogliamo parlare di escavazioni, industrie pericolose in alveo, costruzioni sugli argini, interramento del basso corso, dighe del bellunese o vogliamo settorializzare tutto in funzione dell’esperto più esperto e di dove conviene spendere?

La prima questione, non negoziabile, è che sia riconosciuto che il fiume ha bisogno del suo spazio e quindi chi ha invaso le sue naturali casse di espansione, deve essere pronto ad andare via (demolizioni di case e vigneti) e devono essere totalmente revisionati i metodi di escavazione, funzionali solo alla lobbies dei cavatori e non alla ricomposizione ambientale e morfologica del fiume.

Se i cavatori voglio ghiaia da scavare possono andare anche nel bellunese e ripulire le briglie…

 

5.       Conclusione

Purtroppo ritengo che sia un dialogo tra sordi, in cui non c’è la minima volontà di ascoltare l’altro soprattutto da parte del potere regionale, che forte del megafono mediatico locale, pensa di poter avere una facile vittoria.

Forse non ha tenuto conto che la Piave è stato un limite invalicabile per lo “straniero” e Lorsignori sono ormai diventati “stranieri” alla loro stessa gente.

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