"Ogni cosa era piu' sua che di ogni altro perchè la terra, l'aria, l'acqua non hanno padroni ma sono di tutti gli uomini, o meglio di chi sa farsi terra, aria, acqua e sentirsi parte di tutto il creato." (Mario Rigoni Stern)

martedì 29 maggio 2012

A ognuno la sua pArte... il commento di Alessio


Innanzitutto, c’è da fare una differenza tra cultura e cultura artistica, cosa che nel convegno non è stata detta.
Iniziamo con l’idea di cultura proposta dal convegno.
Dalla scheda di presentazione del convegno e dagli interventi dei relatori, si può dire che il concetto di cultura a cui si è dato spazio coincide con una prassi comunicativa che eviti la separazione delle conoscenze e che promuova lo scambio di saperi tra le specializzazioni.
Con questo sguardo e con questo punto di partenza i relatori del convegno hanno suggerito di mettere in relazione le varie discipline specifiche su cui ormai si fonda la nostra società (tra le altre ricordo l’urbanistica, l’architettura, l’economia, le scienze mediche, ecc.).
Questo dialogo interdisciplinare renderebbe così possibile la costruzione di una nuova forma di convivenza sociale fondata non più sulla separazione ma sulla relazione tra saperi, conoscenze e interessi personali.
L’idea cardine del convegno è sostenere una nuova società in cui la volontà personale di conoscere e apprendere debba essere non solo garantita ma promossa.
La forma di cultura, quindi, a cui il convegno è stato dedicato coincide con un’idea politica di cambiamento degli stili di vita. Si è parlato infatti di pianificazione e organizzazione degli spazi della città per garantire inclusione sociale e senso di appartenenza alla comunità urbana.
Con queste premesse, si vede come sia stato possibile chiamare esperti in discipline diverse tra loro.
Enricomaria Girardi, titolare della Farmacia Girardi a Treviso, ha ricordato che l’esistenza di una farmacia non è motivata solo dalla vendita di medicine, ma dalla diffusione di una idea di benessere, che può essere raggiunta prevenendo le malattie non solo con i farmaci ma con uno stile di vita migliore. I servizi offerti dalla sua farmacia, infatti, spaziano dalla cura delle salute fisica, ai Gruppi di Acquisto solidale fino ai corsi di pittura.
Stefano Monti, consulente di progettazione di modelli di Governance, di sviluppo locale e di cooperazione internazionale, direttore editoriale di Tafter, legale rappresentante di Monti&Taft e amministratore delegato di Culture 21, sostiene l’idea che le banche debbano appoggiare economicamente i progetti culturali anche quando non ci sono garanzie reali a copertura dell’investimento. Non spiega, tuttavia, su quali basi fare le scelte?
Michele Trimarchi è il più preciso dei relatori e parla in modo esteso dei valori su cui dovrebbe costruirsi la società del futuro. Un tempo i punti cardine su cui ruotava la società erano: eccellenza, successo, competizione ed efficienza. La nuova società punta a: relazione, morbidezza, prossimità e uso del tempo. Nel suo intervento spiega molto precisamente che l’idea di cultura coincide con un’idea di benessere. Un’idea di benessere che si può raggiungere con una progettazione urbana forte e con la promozione di progetti che puntino alla inclusione e al rimescolamento di competenze, interessi e poteri. È lui a fare qualche esempio di assessorati condivisi, in cui l’assessorato alla cultura sia unito a quello al bilancio o a quello del turismo. Oppure, tavoli di discussioni in cui i vari livelli dell’amministrazione siano coinvolti.
Sono sullo stesso piano, anche gli interventi delle ultime due relatrici, Elena Lorenzetto (semiologa e dottoranda presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane dell’Università di Bologna) e Martina Zanatta (architetto consulente per la valorizzazione delle risorse culturali e Phd student in valorizzazione del patrimonio culturale). Entrambe fanno esempi di urbanistica. La prima cita l’esempio di San Piero come modello urbano diffuso che non aiuta la socializzazione. La seconda ricorda l’esempio di Forte Marghera come buon riuso di uno spazio urbano.
Infine, un accenno agli interventi di Michele Furlanetto – commercialista e docente di materia contabile e di finanza aziendale presso Ca’ Foscari - e di Claudio Bertorelli – fondatore del Centro Studi Usine a Vittorio Veneto -. Il primo propone un’idea di cultura come realizzazione di interessi personali e cita ad esempio l’associazione Tra – Treviso Ricerca Arte – di cui è membro. Il secondo si fa espressione di un’idea di cultura come promotrice di forme si socialità e di relazione. Una forma per rigenerare, ad esempio, i capannoni industriali abbandonati.
Conclusione.
Si può dire che il tema “cultura” sia stato affrontato da due punti di vista. Il primo, più complesso e più ambizioso, di cui si è parlato anche nell’introduzione, coincide con un insieme nuovo di valori che può essere sintetizzato con l’espressione “inclusione dei saperi e promozione della diversità”. Il secondo punto di vista, meno propositivo, fa coincidere la cultura con uno strumento di rigenerazione civile e sociale che intervenga dove la politica fallisce.
A ben guardare, i due punti di visti sono un po’ in contraddizione. Se la cultura ha l’ambizione di dare forma ad una nuova società non può che scontrarsi con la politica e farsi politica. Non rimanendo sullo sfondo. Ma questa condizione residuale della cultura è tuttavia una necessità, visto che la politica non si apre alla discussione.
A più riprese, nel convegno, si è fatto riferimento ad un tipo di cultura che non esiste più. Sarebbe la cultura che chiede sovvenzioni statali, che chiede finanziamenti ai privati o alle fondazioni bancarie. Sarebbe la cultura dei fantomatici esperti che criticano e censurano quello che non è esteticamente degno di essere approvato. L’esistenza dei comitati di esperti è, in effetti, una possibile forma di potere censorio a cui ci si può opporre.
Per rendere più complessa la questione, però, si può dire che questa forma di censura “preventiva” non è solo in mano ai gruppi di esteti che vorrebbero operare in completa solitudine; questa forma di censura è nella mani di chiunque prenda delle decisioni. E il convegno non aiuta a capire come risolvere il problema della scelta.
Solo in parte, l’intervento di Trimarchi, dà delle indicazioni su come prendere le decisioni. La buona cultura si dovrebbe basare sulla promozione della diversità.
In questo caso, Treviso non è un buon esempio. La cultura non può essere solo l’iniziativa autonoma delle persone, la realizzazione di interessi personali o un residuo della politica, uno strumento di salvataggio della socialità.
Infine, mi ricollego all’inizio della relazione: la differenza tra cultura e cultura artistica.
Non è utile affrontare il problema della cultura creando degli antagonismi. La forma di cultura proposta dal convegno non è in contraddizione con la cultura artistica di cui più volte è stata negata dignità di esistenza. Secondo me si tratta di fare una distinzione e una precisazione, dimostrando che le forme artistiche hanno una funzione che non contraddice l’idea di cultura proposta.
La cultura del convegno, come detto, coincide con una nuova forma di socialità in cui venga promossa la diversità, il coinvolgimento e l’espressività.
La cultura artistica è una disciplina che studia le forme di espressività che la civiltà propone per creare una forma artistica che le possa rappresentare. La cultura artistica ha l’ambizione di descrivere sinteticamente la vita delle persone, provando anche a farle emozionare. È a tutti gli effetti una disciplina. È uno studio delle forme per ottenere una forma d’arte rappresentativa.
Se questa è, come credo, la sua funzione, la cultura artistica non si oppone alla cultura. Ha infatti bisogno della diversità, del coinvolgimento e dell’espressività. I finanziamenti a perdere servirebbero a questo. Servirebbero a garantire rappresentazioni artistiche alla nuova società.
È stato fotto l’esempio della lirica e dei teatri. È vero che la lirica e alcuni teatri rappresentano vecchi modi di fare cultura. Ma è anche vero che il pubblico che li frequenta è vecchio, attaccato cioè a superate forme artistiche.
Non bisogna trascura il fatto che alcuni artisti italiani hanno proposto una gestione autonoma degli spazi teatrali – senza finanziamenti – e che non gli è stato concesso.

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