Innanzitutto, c’è da
fare una differenza tra cultura e cultura artistica, cosa che nel
convegno non è stata detta.
Iniziamo con l’idea di
cultura proposta dal convegno.
Dalla scheda di
presentazione del convegno
e dagli interventi dei relatori, si può dire che il concetto di
cultura a cui si è dato spazio coincide con una prassi
comunicativa che eviti la separazione delle conoscenze e che promuova
lo scambio di saperi tra le specializzazioni.
Con questo sguardo e con
questo punto di partenza i relatori del convegno hanno suggerito di
mettere in relazione le varie discipline specifiche su cui ormai si
fonda la nostra società (tra le altre ricordo l’urbanistica,
l’architettura, l’economia, le scienze mediche, ecc.).
Questo dialogo
interdisciplinare renderebbe così possibile la costruzione di una
nuova forma di convivenza sociale fondata non più sulla separazione
ma sulla relazione tra saperi, conoscenze e interessi personali.
L’idea cardine del
convegno è sostenere una nuova società in cui la volontà personale
di conoscere e apprendere debba essere non solo garantita ma
promossa.
La forma di cultura,
quindi, a cui il convegno è stato dedicato coincide con un’idea
politica di cambiamento degli stili di vita. Si è parlato infatti di
pianificazione e organizzazione degli spazi della città per
garantire inclusione sociale e senso di appartenenza alla comunità
urbana.
Con queste premesse, si
vede come sia stato possibile chiamare esperti in discipline diverse
tra loro.
Enricomaria Girardi,
titolare della Farmacia Girardi a Treviso, ha ricordato che
l’esistenza di una farmacia non è motivata solo dalla vendita di
medicine, ma dalla diffusione di una idea di benessere, che può
essere raggiunta prevenendo le malattie non solo con i farmaci ma con
uno stile di vita migliore. I servizi offerti dalla sua farmacia,
infatti, spaziano dalla cura delle salute fisica, ai Gruppi di
Acquisto solidale fino ai corsi di pittura.
Stefano Monti, consulente
di progettazione di modelli di Governance, di sviluppo locale e di
cooperazione internazionale, direttore editoriale di Tafter, legale
rappresentante di Monti&Taft e amministratore delegato di Culture
21, sostiene l’idea che le banche debbano appoggiare economicamente
i progetti culturali anche quando non ci sono garanzie reali a
copertura dell’investimento. Non spiega, tuttavia, su quali basi
fare le scelte?
Michele Trimarchi è il
più preciso dei relatori e parla in modo esteso dei valori su cui
dovrebbe costruirsi la società del futuro. Un tempo i punti cardine
su cui ruotava la società erano: eccellenza, successo, competizione
ed efficienza. La nuova società punta a: relazione, morbidezza,
prossimità e uso del tempo. Nel suo intervento spiega molto
precisamente che l’idea di cultura coincide con un’idea di
benessere. Un’idea di benessere che si può raggiungere con una
progettazione urbana forte e con la promozione di progetti che
puntino alla inclusione e al rimescolamento di competenze, interessi
e poteri. È lui a fare qualche esempio di assessorati condivisi, in
cui l’assessorato alla cultura sia unito a quello al bilancio o a
quello del turismo. Oppure, tavoli di discussioni in cui i vari
livelli dell’amministrazione siano coinvolti.
Sono sullo stesso piano,
anche gli interventi delle ultime due relatrici, Elena Lorenzetto
(semiologa e dottoranda presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane
dell’Università di Bologna) e Martina Zanatta (architetto
consulente per la valorizzazione delle risorse culturali e Phd
student in valorizzazione del patrimonio culturale). Entrambe fanno
esempi di urbanistica. La prima cita l’esempio di San Piero come
modello urbano diffuso che non aiuta la socializzazione. La seconda
ricorda l’esempio di Forte Marghera come buon riuso di uno spazio
urbano.
Infine, un accenno agli
interventi di Michele Furlanetto – commercialista e docente di
materia contabile e di finanza aziendale presso Ca’ Foscari - e di
Claudio Bertorelli – fondatore del Centro Studi Usine a Vittorio
Veneto -. Il primo propone un’idea di cultura come realizzazione di
interessi personali e cita ad esempio l’associazione Tra –
Treviso Ricerca Arte – di cui è membro. Il secondo si fa
espressione di un’idea di cultura come promotrice di forme si
socialità e di relazione. Una forma per rigenerare, ad esempio, i
capannoni industriali abbandonati.
Conclusione.
Si può dire che il tema
“cultura” sia stato affrontato da due punti di vista. Il primo,
più complesso e più ambizioso, di cui si è parlato anche
nell’introduzione, coincide con un insieme nuovo di valori che può
essere sintetizzato con l’espressione “inclusione dei saperi e
promozione della diversità”. Il secondo punto di vista, meno
propositivo, fa coincidere la cultura con uno strumento di
rigenerazione civile e sociale che intervenga dove la politica
fallisce.
A ben guardare, i due
punti di visti sono un po’ in contraddizione. Se la cultura ha
l’ambizione di dare forma ad una nuova società non può che
scontrarsi con la politica e farsi politica. Non rimanendo sullo
sfondo. Ma questa condizione residuale della cultura è tuttavia una
necessità, visto che la politica non si apre alla discussione.
A più riprese, nel
convegno, si è fatto riferimento ad un tipo di cultura che non
esiste più. Sarebbe la cultura che chiede sovvenzioni statali, che
chiede finanziamenti ai privati o alle fondazioni bancarie. Sarebbe
la cultura dei fantomatici esperti che criticano e censurano quello
che non è esteticamente degno di essere approvato. L’esistenza dei
comitati di esperti è, in effetti, una possibile forma di potere
censorio a cui ci si può opporre.
Per rendere più
complessa la questione, però, si può dire che questa forma di
censura “preventiva” non è solo in mano ai gruppi di esteti che
vorrebbero operare in completa solitudine; questa forma di censura è
nella mani di chiunque prenda delle decisioni. E il convegno non
aiuta a capire come risolvere il problema della scelta.
Solo in parte,
l’intervento di Trimarchi, dà delle indicazioni su come prendere
le decisioni. La buona cultura si dovrebbe basare sulla promozione
della diversità.
In questo caso, Treviso
non è un buon esempio. La cultura non può essere solo l’iniziativa
autonoma delle persone, la realizzazione di interessi personali o un
residuo della politica, uno strumento di salvataggio della socialità.
Infine, mi ricollego
all’inizio della relazione: la differenza tra cultura e cultura
artistica.
Non è utile affrontare
il problema della cultura creando degli antagonismi. La forma di
cultura proposta dal convegno non è in contraddizione con la cultura
artistica di cui più volte è stata negata dignità di esistenza.
Secondo me si tratta di fare una distinzione e una precisazione,
dimostrando che le forme artistiche hanno una funzione che non
contraddice l’idea di cultura proposta.
La cultura del convegno,
come detto, coincide con una nuova forma di socialità in cui venga
promossa la diversità, il coinvolgimento e l’espressività.
La cultura artistica è
una disciplina che studia le forme di espressività che la civiltà
propone per creare una forma artistica che le possa rappresentare. La
cultura artistica ha l’ambizione di descrivere sinteticamente la
vita delle persone, provando anche a farle emozionare. È a tutti gli
effetti una disciplina. È uno studio delle forme per ottenere una
forma d’arte rappresentativa.
Se questa è, come credo,
la sua funzione, la cultura artistica non si oppone alla cultura. Ha
infatti bisogno della diversità, del coinvolgimento e
dell’espressività. I finanziamenti a perdere servirebbero a
questo. Servirebbero a garantire rappresentazioni artistiche alla
nuova società.
È stato fotto l’esempio
della lirica e dei teatri. È vero che la lirica e alcuni teatri
rappresentano vecchi modi di fare cultura. Ma è anche vero che il
pubblico che li frequenta è vecchio, attaccato cioè a superate
forme artistiche.
Non bisogna trascura il
fatto che alcuni artisti italiani hanno proposto una gestione
autonoma degli spazi teatrali – senza finanziamenti – e che non
gli è stato concesso.
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