La
lamentazione di UNINDUSTRIA Treviso apparsa sulla Tribuna di Treviso
del 28-9 relativa ai troppi “no” alla politica industriale veneta
è francamente stupefacente; lo stupore deriva inoltre dal fatto che
non emerge l'enorme lapsus che c'è nelle dichiarazioni del dott.
Vardanega, il quale probabilmente interpreta alla perfezione il
pensiero dei suoi associati, fatto questo che ci rende ancora piu'
preoccupati.
“Qui
non ci puo' più essere sviluppo industriale perchè ci sono troppe
regole... Toglieteci gli oneri e lasciateci fare...” - questa
la sintesi, non nuova, del pensiero degli industriali trevigiani?
Il
Veneto, modello turbo nord-est, è stato l'esempio di questa
filosofia, visto che ci sono poche regioni dove l'impetuoso sviluppo
di qualche decennio fa è stato fatto con una simile assenza di
criteri e programmazione; ricordo per esempio che ci sono migliaia di
metri quadri per zone industriali che oggi non servono, non saranno
mica sorti da soli?
Il
territorio ad
urbanizzazione diffusa,
cioè quello dove non si vede piu' il confine tra una città ed il
comune vicino non sarà mica opera divina?
Lo
schema casa-capanon,
meglio
se in zona agricola, non è mica opera solo della CNA (artigiani)??
L'industria
trevigiana ha dato
molto in termini di reddito e lavoro, ma si è anche preso
molto in termini di territorio e beni comuni (aria, acqua, terra).
Ricordate
il rogo della De Longhi?
Avete
qualche ricordo di cos'era la zona di Villorba sulla Pontebbana circa
30 anni fa?
Pensate
che l'aeroporto Canova che si vuole ampliare sia un elemento di
valorizzazione del fiume Sile?
E'
corretto dire che serve un nuovo patto sociale, ma il fatto è che un
patto esiste se ci sono dei contraenti di pari livello, dignità e
con obiettivi chiari da raggiungere, anche se non sempre possono
essere obiettivi convergenti in tutto e per tutto.
L'industriale
veneto tipo è sempre stato molto governativo,
indipendentemente dal colore della bandiera che c'è stata al potere
(peraltro quasi sempre uguale); anzi è sempre stato meglio che il
politico fosse di basso livello, perchè è stato sempre molto
semplice ottenere molto
per sé e l'azienda e dare poco
per tutti gli altri.
Non
ci sono però pregiudizi e siamo lieti se ci sarà un cambiamento nei
fatti, perchè è tempo che siano resi evidenti e chiari tutti
gli
interessi e tutti
i
costi, senza dimenticare il territorio che è la nostra vera grande
risorsa.
E'
però il caso di ricordare agli industriali che gli oneri di
urbanizzazione non sono una tangente legalizzata, ma una modalità
per tenere conto del fatto che ogni trasformazione comporta oneri per
la collettività oltre che vantaggi; non sono un'invenzione di
qualche pazzo statalista, ma una risorsa che spesso viene sprecata da
politici imbelli, che li usano per mille scopi, dopo che è stato
eliminato l'obbligo di usarli per il preciso scopo per cui vengono
riscossi.
Da
qualche decennio infatti gli oneri di urbanizzazione vengono messi
nel bilancio generale delle amministrazioni e questo ha fatto sì che
i politici, che governano un comune, siano i primi a svendere
il loro territorio, magari per pagare qualche stipendio in inutili
CdA di municipalizzate!
Per
fare un esempio di contropartite ridicole, ricordo che AERTRE pensa
di fare una rotonda sulla Noalese per risolvere la questione traffico
con l'ipotizzato raddoppio dei voli e dei relativi passeggeri!
Per chiarire il tipo di industrializzazione che non
serve, ricordiamo il caso di Barcon che si sta sgonfiando a Vedelago
per migrare in parte a Castelfranco.
Il modello sommo di cio' che non deve essere fatto ha il
suo sommo esempio nel bresciano Riva che con ILVA affre lavoro e
morte ai tarantini.
Possibile che gli industriali nostrani non riescano a
fare come i colleghi tedeschi che producono acciaio rispettando norme
europee e senza aiuti di stato?? Cosa sono i tedeschi: dei geni
industriali? Allora importiamoli!
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