A Mosnigo di
Moriago il 2 dicembre un’affollata assemblea pubblica si è svolta in
contemporanea con una trasmissione a Rete Veneta sul medesimo tema: la
potenziale pericolosità di una piena della Piave e le possibili risposte a
questo problema.
Da un lato il
potere della Regione Veneto (l’assessore Bottacin e il prof. D’Alpaos ospiti di
Bacialli, senza contraddittorio, con il sindaco di Ponte di Piave) dall’altra
un nutrito gruppo di amministratori del Medio Piave (dalla sindaca di Crocetta
al Vicesindaco di Vidor).
Il tema “PIAVE”
è un problema complesso di cui si discute da 50 anni; è divenuto urgente
negli ultimi due anni da quando il progetto delle casse di espansione nelle
grave di Ciano del Montello è LA soluzione e non una delle potenziali
soluzioni.
Ci sono due
modi di affrontare un simile problema: il “metodo ingegneristico” ed il “metodo
ambientale” e nei passaggi seguenti vorrei mostrare le differenze tra le
due impostazioni.
1.
Il metodo “ingegneristico”
Il prof. D’Alpaos
è un emerito professore di idraulica dell’Università di Padova e quindi
rappresenta un’autorità scientifica nella sua materia: il tema non è contestare
la sua indubbia competenza, quanto valutare se l’impostazione globale della sua
proposta tecnica e tecnologica sia adeguata alla risoluzione della questione
posta.
Gli studi e la
professione di D’Alpaos prevedono una risposta tecnica ad un fenomeno naturale:
l’ingegnere costruisce dighe, argini, devia fiumi… Nella sostanza D’Alpaos e la
Piave sono antagonisti (nemici): uno deve prevalere sull’altro, uno deve domare
l’altro e fino ad oggi il fiume ha resistito alle proposte di opere dell’Università
di Padova (vedi diga di Falzè a Sernaglia).
D’Alpaos vede i
pericoli dati dalla vegetazione in alveo per altre opere umane (i ponti, le fabbriche)
e non f mai alcuna considerazione ecosistemica. Non competono a lui, che è un
puro ingegnere idraulico.
In questo
epigono della cultura scientifica novecentesca è racchiusa tutta la filosofia occidentale
del secolo breve, per la quale i problemi complessi vengono suddivisi in problemi
più semplici e risolti grazie all’intervento dell’opera dell’Uomo che prevale
sulla Natura.
Per D’Alpaos,
ritengo, la Piave va gestita, “domata”, incanalata dove l’Uomo vuole al servizio
totale del bacino.
2.
Le necessità della politica
Si aggiunga a
questo che la politica attuale deve dimostrare di “fare qualcosa”. Non importa “cosa”.
E’ necessario
aver programmato un qualsiasi intervento perché al primo evento disastroso (che
certamente ci sarà), la politica dirà che …. “il progetto era pronto, ma non si
è potuto attuare per….”.
Si discuterà di
colpe, ritardi…. si faranno polemiche “sugli ambientalisti che devono andare in
vacanza e lasciare il fiume ai professori universitari….”.
La politica
piccola (della Regione Veneto) vuole solo salvarsi il culo di fronte ad una
catastrofe che ha solo contribuito ad aggravare con inerzia e favori alle
lobbies, in primis dei cavatori.
3.
Il metodo “ambientale”
Quello che stanno
facendo i comitati del medio e basso Piave e le associazioni, con le limitate
risorse disponibili, è la vera transizione ecologica, perché
propongono un vero e radicale cambio di logica.
La Piave, che rappresenta l’acqua e
quindi la vita, non è “nemico” del territorio, ma ne è parte integrante; è il
nerbo di queste terre e non solo per il sangue che si è diluito lungo il costo in
episodi storici tragici, ma anche per tutto quello che il fiume dà e continua a
dare, se verrà rispettato.
La Piave merita e deve essere
rispettato ed assecondato e quindi più che ascoltare esclusivamente il parere di un emerito
professore di idraulica, è necessario ascoltare chi osserva il fiume e che, con
altre competenze, riesce a dare una visione “altra” della questione. Ovviamente
non parlo di fare una mega commissione, ma di aprire una vera e paritaria discussione
scientifica, dove non sia predeterminata, come al solito, la “soluzione che la
politica chiede”.
La filosofia
orientale ci insegna che “il meglio non è vincere 100 battaglie, ma
sottomettere il nemico senza combattere” e noi con la Piave ne abbiamo la
possibilità perché il fiume nasce meandriforme in funzione della
conformazione del territorio: si allarga dove può ed è stretto dove l’orografia
lo costringe.
Passiamo da un
alveo di centinaia di metri ad un alveo di chilometri, formatosi in secoli ed ora
arrivano i Sapiens Sapiens, tipo l’assessore Bottacin, a fare meglio?
4.
Le necessità dei comitati e delle
associazioni
I problemi
della Piave esistono e non sono solo il problema della sicurezza idraulica,
come vogliono far credere coloro che enfatizzano, pro domo loro, tale questione.
Invece di
realizzare, manu militari una bacino di espansione del fiume dove già si
espande naturalmente creando un ecosistema stuendo (le grave di Ciano),
vogliamo analizzare risposte diffuse senza fare una misera guerra tra Crocetta e
San Polo di Piave (prima i Veneti del sud)?
Vogliamo
parlare di escavazioni, industrie pericolose in alveo, costruzioni sugli
argini, interramento del basso corso, dighe del bellunese o vogliamo
settorializzare tutto in funzione dell’esperto più esperto e di dove conviene
spendere?
La prima questione, non negoziabile, è che sia
riconosciuto che il fiume ha bisogno del
suo spazio e quindi chi ha invaso le sue naturali casse di
espansione, deve essere pronto ad andare via (demolizioni di case e vigneti) e
devono essere totalmente revisionati i metodi di escavazione, funzionali solo
alla lobbies dei cavatori e non alla ricomposizione ambientale e morfologica
del fiume.
Se i cavatori
voglio ghiaia da scavare possono andare anche nel bellunese e ripulire le
briglie…
5.
Conclusione
Purtroppo
ritengo che sia un dialogo tra sordi, in cui non c’è la minima volontà di
ascoltare l’altro soprattutto da parte del potere regionale, che forte del megafono
mediatico locale, pensa di poter avere una facile vittoria.
Forse non ha
tenuto conto che la Piave è stato un limite invalicabile per lo “straniero” e
Lorsignori sono ormai diventati “stranieri” alla loro stessa gente.